La stanza del tramonto

Un Fratello e una Sorella si ritrovano, dopo anni di separazione, dietro la porta chiusa della stanza di un ospedale; dalla penombra arrivano il respiro e il canto della madre morente. E’ un luogo di frontiera, che molti conoscono. Scompare il corpo che ti ha generato: la fine è un atto mitico, eppure è così quotidiano, un momento come tanti altri, che accade in un dato giorno ad una certa ora.

La prima scena ha i caratteri dell’iperrealismo: un corridoio d’ospedale che schiaccia i due attori verso il pubblico, sotto la luce dei neon. E c’è una simbiosi metafisica con quello che accade di là: l’intermittenza della coscienza e della percezione, i vaneggiamenti, vedere voci, parlare con i fantasmi dell’infanzia. In un gioco di ricordi, visioni e conflitti i due fratelli si contendono il corpo della madre con un linguaggio surreale, che restituisce la verità di questa situazione così comune eppure così paradossale.

Improvvisamente la scena si apre; la madre si dissolve, la parete viene risucchiata verso il fondo e si è proiettati in un paesaggio interiore: lievi squarci di luce, a terra un lampadario di cristallo, cenere che cade dall’alto, sibili di vento, i suoni di una radio lontana. E’ la casa dove la sorella accoglie il fratello ammalato, dopo un anno dalla morte della madre. Qui i due orfani costruiscono progressivamente i paesaggi del proprio tramonto, si travestono e mutano l’uno nell’altra, attraversando presagi di bellezza e di abbandono. Lontani dai reparti ospedalieri rigorosamente suddivisi in maschili e femminili, riscoprono il rito elementare della cura “di quando i mammiferi si leccavano da soli le ferite”. Lui intraprende una discesa salvifica nel femminile fino a che, insieme, aprono finalmente la porta chiusa e si stagliano su un’abbagliante eclissi.

La stanza del tramonto è una creazione sui temi della Fine e della Cura. E’ tratto da una scrittura di Lina Prosa per Accademia Mutamenti, a seguito di incontri di laboratorio con gli attori e il regista. Si avvale inoltre della collaborazione artistica di Claudia Sorace e Riccardo Fazi, della compagnia Muta Imago, la cui originale visione del rapporto tra drammaturgia e spazio scenico si è confrontata con le qualità attoriali di Sara Donzelli e Giampaolo Gotti.

Di Lina Prosa
con Sara Donzelli e Giampaolo Gotti
collaborazione drammaturgia e spazio scenico Claudia Sorace e Riccardo Fazi
costumi Marco Caboni
regia Giorgio Zorcù



Critica

Lina Prosa utilizza una scrittura poetica servendosi di un linguaggio a volte volutamente ingenuo e a volte arcaico, attingendo dal folklore meridionale e dalla tragedia greca. La matrice surreale dell’opera, quasi fiabesca, giustifica una scenografia che si avvale di oggetti metateatrali molto potenti. Un sogno, dove il teatro è il mezzo per ricongiungersi agli aspetti primordiali della vita.

Gli attori donano al pubblico picchi di grande interpretazione, e si rivelano all’altezza del compito di portare in scena un nudo integrale meraviglioso, dove la nudità simboleggia quell’eden lontano dalla vecchiaia e dalla morte. La stanza del tramonto è un’opera originale, commovente, provocatoria, degna della nostra grande tradizione teatrale. Merita grande attenzione non solo dagli addetti ai lavori ma anche da un pubblico più vasto.

Giuseppe Sciarra, SaltinAria

Nella Stanza del tramonto, struggente ma mai oppressiva, il rito e la contemporaneità sono in rapporto simbiotico e tra il prima e il dopo la fine non c’è una netta demarcazione né un limite preciso. Giorgio Zorcù guida con mano felice Sara Donzelli e Giampaolo Gotti, dalle innegabili qualità attoriali, che ben si inseriscono nel contesto scenico predisposto da Claudia Sorace e Riccardo Fazi della compagnia Muta Imago, sempre pronta a sperimentarsi.

Osvaldo Scorrano, La Sicilia

Le ultime scene hanno qualcosa di visionario, adombrano perversioni, travestitismo, incesto, come enigmi mitologici non chiariti. Ciò che resta è una sola certezza: la certezza della fine. Il tramonto incombe, e non deve trovarci soli e smarriti, perché l’unica protezione di cui possono valersi i mammiferi è l’unione.

Enigma in hora mortis” – Carlo Titomanlio, Lo sguardo di Arlecchino

Sparito il muro del corridoio d’ospedale, che all’inizio spingeva in proscenio i due protagonisti, lo scenario all’improvviso si trasforma in un interno familiare senza confini e dalle infinite risorse, una wunderkammer degli affetti e dei desideri. E’ la magia del teatro della vita, proprio nel momento della fine. Lina Prosa, su invito dell’attrice Sara Donzelli e del regista Giorgio Zorcù, ha tessuto i fili tematici della “cura” e della “fine” in un’opera composta per e con loro, in cui la realtà della malattia e della morte è sospesa in una dimensione poetica, esistenziale e drammaturgica che sa dare corpo e voce alla sostanza di cui sono fatti i nostri incubi e i nostri sogni. Ne è nato uno spettacolo di forte impatto che sorprende, agisce sulla nostra cognizione del dolore, commuove la mente e il cuore.

Laura Caretti, Hystrio

La stanza del tramonto vive di una lingua piana e chiara, capace di allentare e allargare la trama delle frasi ordinarie, inserendovi metafore impreviste (talvolta incarnate in scena, tra paracaduti e tacchi a spillo), recuperando regressioni infantili, lampi metafisici e associazioni stralunate che spingono con forza il dialogo ad assumere il profilo frastagliato di un dettato poetico inesauribile e mai vago. Gli interpreti assecondano in modo fluido gli scarti e i mutamenti dei due esemplari (più che personaggi, mammiferi di un’esposizione), sinceri oltre la nudità. Discreta e avvolgente la partitura sonora, tra rumori minimi, mormorii e cigolii ritmici, con una varietà di soluzioni che ritroviamo anche nella scena e nelle luci, dalla scansione modulare dei neon fino all’impressionante icona di chiusura, emblema e stemma che sembra partorito dallo spettacolo stesso nel buio del palco.

Profumare l’addio” – Stefano Serri, Concretamente Sassuolo/Quarta parete

Ilgioco e l’ingenua immaginazione, ma anche l’attenzione e la cura segnati dalla tenerezza di una fratellanza amichevole e complice sono qualcosa di famigliare e sentito, che promuove una bella relazione attore-spettatore. Oltre le pareti della stanza del tramonto si celano i misteri di una visione onirica e surrealista da cui i due protagonisti sono profondamente attratti. La stanza del tramonto è uno spettacolo che fa riflettere l’anima, portandola anche a scontrarsi con l’oscuro e il misterioso. A fare questo è soprattutto la bravura dei due attori Sara Donzelli e Giampaolo Gotti, guidati dalla singolare regia di Giorgio Zorcù, accolti in un impianto scenico azzeccato. È questo un testo prezioso, per la profondità del tema e per la delizia di una scrittura drammaturgia a volte puramente dialogata, a volte poetica, a volte prosaica in un cammino di visioni e squisite immagini poetiche e romanzesche.

Valentino Bettega, Fermata Spettacolo